Natura e tipologia degli inquinanti

Idrocarburi

Ogni anno, il Mediterraneo subisce numerosi sversamenti di idrocarburi. Negli ultimi trenta anni si sono registrati 27 sinistri navali con conseguente inquinamento, per un totale di circa 272.000 tonnellate di petrolio rilasciate in mare; a tali eventi devono aggiungersi anche tutti i rilasci volontari dalle navi in transito, cosiddette “attività operazionali”. L’immissione continuata di tali sostanze ha causato, nel tempo, gravi effetti negativi sull’ecosistema, determinando danni ambientali difficilmente calcolabili. Ma non sono solo gli idrocarburi a presentare un pericolo per l’habitat mediterraneo; sono infatti migliaia le sostanze tossico-nocive trasportate via mare.

Se a fronte di un inquinamento da idrocarburi esistono solidi standard internazionali e consolidate esperienze e capacità di intervento, un’emergenza di natura chimica a mare presenta forti problematicità a causa della specificità di reazione di ogni singolo prodotto, una volta a contatto con l’ambiente marino. C’è, infine, un’altra forma di inquinamento più subdola, perché spesso non si manifesta in maniera evidente: è l’inquinamento biologico da microrganismi patogeni, causato dagli scarichi abusivi da terra.

Uno sversamento di idrocarburi in mare è un evento di rilevante criticità ambientale di fronte al quale le autorità che devono intervenire agiscono in un quadro d’emergenza: le decisioni devono essere prese in tempi brevi e in un clima fuori dall’ordinario. Pertanto, la preparazione all’emergenza diventa un elemento strategico e le pianificazioni a livello nazionale e locale sono strumenti indispensabili perché le operazioni di contrasto e bonifica vadano a buon fine. In particolare, le informazioni sulle caratteristiche della sostanza rilasciata in mare, sulle sue mutazioni di stato, sulle sue capacità inquinanti costituiscono elemento fondamentale a supporto delle decisioni da prendere. Nella foto il sinistro della motocisterna Haven.

Il sinistro della motocisterna Haven

Per procedere ad una corretta valutazione delle conseguenze ambientali di un inquinamento marino da idrocarburi, occorre individuare gli elementi da prendere in considerazione per valutare il comportamento della miscela oleosa in mare e il suo destino nell’ambiente circostante. Infatti, a seconda delle caratteristiche intrinseche a ciascun tipo di idrocarburo (densità, tensione di vapore, viscosità, ecc.), lo stesso tenderà a comportarsi in modo diverso: ad evaporare, a disperdersi, ad affondare, ecc. La considerazione di tali peculiarità, insieme a quella di altri fattori, quali l’azione delle correnti e dei venti, serve a prevedere l’evoluzione delle chiazze di idrocarburi e il loro spostamento nel mare, nonché a stimarne la consistenza. Occorre quindi procedere ad un rapido esame degli elementi chiave per valutare l’entità dell’evento e, conseguentemente, dello sforzo necessario per fronteggiare l’inquinamento. Tali elementi sono le caratteristiche chimico-fisiche della sostanza, le quantità versate in mare, la distanza dalla costa e le caratteristiche ambientali ed economiche dell’area coinvolta.

Il petrolio è una miscela idrocarburi costituita da prodotti estremamente volatili e leggeri, come propano e benzene, e da sostanze più complesse e pesanti come gli asfalteni e le resine. Quando tale miscela è rilasciata nell’ambiente marino, normalmente tende a modificarsi quale risultato di una serie di processi chimici e fisici che ne determinano un cambiamento, sia in termini di composizione che di volumi.

I diversi processi che intervengono sono noti con il termine di weathering, vale a dire fenomeni di alterazione della miscela per effetto delle condizioni ambientali. Gli idrocarburi a contatto con il mare tendono a formare delle chiazze che cambiano rapidamente forma, spandendosi. Lo spandimento ha una velocità inversamente proporzionale alla viscosità del prodotto, cioè alla sua tendenza allo scorrimento. Inoltre, esso è fortemente influenzato dalle condizioni meteorologiche (velocità del vento, temperatura, correnti marine, ecc.) nonché dal volume del prodotto versato in mare. Con il tempo, a seguito dell’azione del vento e delle correnti marine di superficie, gli idrocarburi tendono a disperdersi per formare chiazze di dimensioni più ridotte assumendo, generalmente, forme lineari parallele alla direzione del vento (note con il nome di “windrow”). Le forme che assumono le chiazze in funzione dell’intensità del vento sono illustrate nella figura seguente.

Generalmente i composti volatili (a basso e medio peso molecolare) evaporano rapidamente in atmosfera. Pertanto, la miscela di idrocarburi con un’elevata percentuale di componenti volatili (es. benzina) avrà un tasso di evaporazione sensibilmente maggiore rispetto a una miscela in cui sono prevalenti i composti più pesanti (greggi e oli combustibili medi e pesanti). La velocità di evaporazione aumenta all’aumentare della temperatura, della velocità del vento, della turbolenza marina e dello spandimento della chiazza, a causa della maggiore superficie di evaporazione.

A causa del moto ondoso e delle conseguenti turbolenze e in funzione della loro viscosità, gli idrocarburi possono disperdersi in gocce che, a seconda delle loro dimensioni, possono rimanere in sospensione nella colonna d’acqua o ritornare a galleggiare sulla superficie e coalescere con altre particelle per formare nuove chiazze. La dispersione è il fenomeno per cui le gocce sufficientemente piccole da restare in sospensione vengono diluite dalla turbolenza marina in grandi volumi d’acqua, facilitando i processi di solubilizzazione e biodegradazione. Sotto l’azione delle onde e delle correnti può formarsi un'emulsione di acqua in olio (chocolate mousse), dove piccole gocce di acqua rimangono intrappolate nel petrolio. Le emulsioni con contenuto di acqua fra il 50% e l’80% sono le più comuni. La formazione di un’emulsione aumenta il volume di massa inquinante, rallenta il processo dispersivo ed aumenta la viscosità e persistenza del prodotto; recuperare gli idrocarburi in questi casi è estremamente difficoltoso.

Gli idrocarburi, a seguito della dispersione nella colonna d’acqua, vi rilasciano tutte le componenti solubili. La solubilizzazione è tanto più veloce quanto più è accentuata la dispersione perché aumenta la superficie di contatto degli idrocarburi con l’acqua. In linea generale, il processo di solubilizzazione contribuisce all’eliminazione degli idrocarburi dalla superficie del mare in modo meno significativo degli altri processi di weathering.

Quando la densità intrinseca dei greggi o dei prodotti di raffinazione è superiore a quella dell’acqua di mare, questi affondano appena rilasciati. La tendenza all’affondamento dipende quindi dalla densità originaria della miscela sversata ma anche dal suo incremento dovuto all’azione dei processi di weathering. Inoltre può succedere che la miscela oleosa si unisca a particelle di sabbia o altri solidi sospesi formando aggregati con densità relativa maggiore di quella dell’acqua marina (1,025 g/l). In questi casi l’idrocarburo affonda depositandosi sul fondo marino (sunken oil). Il fenomeno dell’affondamento può verificarsi inoltre nel caso in cui gli idrocarburi prendano fuoco. 

La combustione favorisce l’allontanamento delle molecole più leggere e la formazione di nuovi residui pirogenici (derivanti dalla combustione) molto densi. Il processo di affondamento può anche essere favorito dallo spiaggiamento sulla linea di costa e da una successiva rimobilitazione verso il mare, per l’adesione e l’inglobamento nella miscela delle particelle sabbiose. L’adesione di particelle estranee all’idrocarburo sversato è direttamente proporzionale alla sua viscosità. Tuttavia, dopo un certo periodo di tempo, gli idrocarburi affondati possono separarsi dalle particelle sabbiose e ritornare in superficie. 

Può anche accadere che gli idrocarburi abbiano o assumano una densità inferiore ma molto vicina a quella dell’acqua di mare. In questi casi, il prodotto può rimanere sommerso senza però affondare, viaggiando lungo la colonna d’acqua sotto l’azione del moto ondoso e delle correnti (submerged oil); così quando le condizioni del mare tornano calme è possibile che gli idrocarburi riemergano in superficie. Tale fenomeno condiziona l’efficacia degli interventi per la difficoltà di individuare gli idrocarburi che sfuggono alle tecniche di telerilevamento sia aereo che satellitare.

La radiazione solare a bassa lunghezza d’onda che raggiunge il mare induce diverse reazioni chimiche – le cosiddette fotoreazioni - sullo strato di idrocarburi (ossidazione, decomposizione, polimerizzazione) che dipendono sia dalla composizione del prodotto versato che dalle condizioni fisiche del luogo dello sversamento (inclinazione del sole, condizioni meteo-marine, ecc.). Ad esempio, l’ossidazione delle chiazze di idrocarburi può determinare, soprattutto una volta sul litorale, la formazione di residui persistenti che isolano la parte interna del materiale dagli ulteriori processi di weathering.

Sia che gli idrocarburi galleggino in superficie, sia che si depositino sul fondo, una volta in soluzione acquosa molte componenti sono biodegradate. Il fenomeno è più accentuato nei mari caldi rispetto a quelli con temperature più basse. Il mare, infatti, contiene un’ampia varietà di microrganismi in grado di metabolizzare i composti oleosi - quali batteri, muffe, lieviti, funghi e alghe unicellulari - utilizzandoli come fonti di carbonio ed energia. Tali organismi hanno una distribuzione ubiquitaria e appaiono più abbondanti nelle aree in cui gli idrocarburi sono già presenti, quali le aree costiere inquinate.

I principali fattori che influenzano il tasso e l’estensione del processo di biodegradazione sono:

  • le caratteristiche degli idrocarburi
  • la disponibilità di ossigeno e nutrienti
  • la temperatura.

Con la biodegradazione le diverse molecole si frammentano, generando un gran numero di prodotti intermedi; una biodegradazione completa porterebbe alla formazione di anidride carbonica ed acqua. I microrganismi agiscono contemporaneamente, ciascuno per uno specifico processo di degradazione; si forma una comunità complessa in cui tali processi sono strettamente interrelati. Al largo i microrganismi sono presenti in misura inferiore rispetto alle acque costiere e i processi di biodegradazione sono quindi inizialmente più lenti. Quando gli idrocarburi diventano disponibili, i microrganismi sono però in grado di moltiplicarsi velocemente e di proseguire la biodegradazione sino a quando sono disponibili ossigeno e nutrienti.

Tutti i processi sin qui descritti si influenzano reciprocamente. Ad esempio, il tasso di evaporazione influenzerà l’aumento di densità della miscela residua e quindi la sua tendenza ad affondare; l’entità della dispersione nella colonna d’acqua, invece, determinerà la velocità di biodegradazione; l’ossidazione e l’emulsificazione determineranno la persistenza del prodotto sversato nell’ambiente marino.

Un rilascio di idrocarburi ha sempre effetti negativi sull’ambiente marino, la cui entità dipende dalla quantità e dalla tipologia dei prodotti versati, nonché dalle caratteristiche ambientali dell’area interessata dall’inquinamento. Allo stato attuale delle conoscenze, gli effetti nocivi degli idrocarburi sugli organismi sono riconducibili a due categorie:

  • effetti tossici delle molecole di idrocarburi sulle specie animali e vegetali;
  • effetti fisici determinati dal ricoprimento e soffocamento di esse da parte degli idrocarburi (smothering).

La tipologia degli idrocarburi influenza quale sarà, tra i due, l’effetto prevalente: nello sversamento di prodotti più leggeri prevarrà l’azione tossica mentre per quelli pesanti, più densi e viscosi, quella di ricoprimento e soffocamento. Il periodo dell’anno in cui avviene l’incidente è anch’esso importante soprattutto con riguardo alle aree di nidificazione o di svernamento di specie marine. Quando gli incidenti sono di dimensioni molto rilevanti, e comportano la morte di un gran numero di esemplari di specie ecologicamente importanti, si possono determinare delle profonde modificazioni a livello ecosistemico. Se è vero che gli ecosistemi marini hanno anche un'intrinseca capacità di recupero, tendendo a ritornare nel medio e lungo periodo ad un nuovo stato di equilibrio, i tempi necessari dipendono strettamente dalle loro caratteristiche ecologiche. Per quanto riguarda le specie marine, bisogna considerare che risentono in maniera più immediata di un inquinamento massivo da idrocarburi quelle specie che per comportamento e abitudini vivono in continuo contatto con la superficie del mare o nel tratto di litorale compreso tra l’alta e la bassa marea (mesolitorale).

In generale, per quanto riguarda invece biotopi ed ecosistemi, si deve evidenziare che in alcuni ambiti, per la conformazione dei luoghi, le attività e gli interventi di bonifica dagli idrocarburi sono rese particolarmente difficili. In questi casi è quindi importante prevenire l’arrivo delle miscele versate.

In particolare:

  • le acque di transizione, quali paludi costiere e foci fluviali, dove lo scarso ricambio idrico e il tipico sedimento fangoso tendono a intrappolare le miscele oleose prolungandone i tempi di residenza e determinando così inquinamenti con effetti cronici. Le possibili azioni di bonifica sono molto limitate per le difficoltà di accesso dei mezzi e per l’elevata sensibilità di questi ambienti alle attività di movimentazione necessarie agli interventi;
  • i tratti di costa di natura prevalentemente rocciosa, in cui è particolarmente difficile intervenire con i mezzi necessari alla pulizia ed alla bonifica delle pareti rocciose ricoperte da idrocarburi.

Inoltre, è particolarmente importante la prevenzione dell’arrivo delle miscele oleose in alcuni biotopi che svolgono funzioni strategiche per l’equilibrio complessivo degli ecosistemi come ad esempio:

  • le aree di riproduzione e stazionamento di avifauna, dove è importante considerare che l’effetto dell’arrivo di una marea nera è condizionato anche dal periodo dell’anno in cui avviene, diventando di impatto immediato se corrisponde a quello di aggregazione di molte specie avicole con abitudini migratorie;
  • le aree di deposizione di tartarughe marine (Femmina di Caretta caretta copre il nido. E.Coppola/Panda Photo) dove, anche in questo caso, l’impatto può essere nefasto se l’evento avviene nel periodo di deposizione e schiusa delle uova, ed inoltre l’intervento di bonifica è ulteriormente complicato dalla presenza dei nidi.

Femmina di Caretta caretta copre il nido - E.Coppola/Panda Photo

Infine, in presenza del fenomeno del sunken oil, è necessario prestare particolare attenzione alla protezione degli ecosistemi dei fondali (bentonici) che possono essere compromessi dall’arrivo di chiazze oleose. Sono particolarmente sensibili in questi casi le praterie di Posidonia oceanica (A.Ricciardi/Panda Photo) e il biotopo noto con il nome di coralligeno, costituito da un insieme di organismi biocostruttori come spugne, celenterati quali i coralli (M.Lanini/Panda Photo) e le gorgonie (R.Rinaldi/Panda Photo), molluschi, etc.

Posidonia oceanica (A.Ricciardi/Panda Photo) 

coralli (M.Lanini/Panda Photo) 

gorgonie (R.Rinaldi/Panda Photo)

Sostanze nocive e pericolose (HNS)

Il transito via nave è l’ovvia soluzione per il trasporto di grandi volumi di sostanze e prodotti chimici, specie su lunghe distanze. Pertanto esso comporta un rischio intrinseco, per l’ambiente marino e per la salute umana, specie quando la merce trasportata viene definita come sostanza nociva e pericolosa (Hazardous and Noxious Substances – HNS). Similmente a quanto succede per gli incidenti che vedono coinvolte navi petroliere, le principali cause di sinistri nel trasporto marittimo di sostanze e prodotti chimici pericolosi sono da individuarsi in: collisione, incaglio, incendi o esplosioni, danni strutturali, condizioni meteo marine avverse, incidenti operazionali, ecc.

Le risposte a incidenti con sostanze chimiche sono più complesse rispetto agli interventi nei casi di oil spill, sia nella fase di preparazione ed elaborazione della risposta, sia nella fase d’intervento in campo. Tale complessità è insita principalmente nell’elevata numerosità delle sostanze e dei prodotti trasportati via mare e, di conseguenza, nell’ampio spettro dei possibili destini e rischi per l’ambiente, ovvero dell’elevato numero di potenziali scenari conseguenti agli eventi accidentali. Infatti, possono accadere incidenti con sversamento di sostanze altamente reattive o corrosive o esplosive, o ancora di chimici che determinano la formazione di nubi tossiche, la perdita in mare di sostanze tossiche che solubilizzano, galleggiano o flottano nella colonna d’acqua disperdendosi per opera delle correnti e della turbolenza o, ancora, altre che affondano creando degli accumuli sui fondali. Inoltre, in alcuni casi, è possibile che l’incidente coinvolga più sostanze e preveda, pertanto, molteplici risposte d’intervento. 

L’effetto indotto dal rilascio delle sostanze HNS nell’ambiente marino dipende da diversi fattori tra i quali le caratteristiche che ne condizionano il destino in mare (solubilità, densità, volatilità), la tossicità e la quantità di materiale disperso e dai conseguenti livelli di concentrazione rilevabili nella colonna d’acqua, dal tempo di esposizione del biota agli inquinanti, insieme alla sensibilità degli organismi stessi alle varie sostanze. Un’importante azione mitigatrice del potenziale inquinamento è attuata per opera dei flussi di marea, delle correnti marine e di moti di diffusione turbolenta nella colonna d’acqua che mettono in moto i processi di diluizione e dispersione delle sostanze HNS, in modo diverso in base alla tipologia di sostanza o prodotto sversato in mare.

L’OPRC-HNS 2000 definisce le sostanze HNS come “tutte le sostanze, oltre al petrolio, che, se introdotte nell’ambiente marino, determinano un pericolo per la salute umana, possono nuocere agli ecosistemi marini, danneggiare beni pubblici o interferire con gli usi legittimi del mare”. In generale, secondo quest’approccio, una sostanza è considerata HNS qualora, date le sue proprietà e caratteristiche, comporti almeno uno dei seguenti rischi:

  • Infiammabilità
  • Esplosività
  • Tossicità
  • Corrosività
  • Reattività. 

Le sostanze e i preparati (miscele di sostanze), siano esse liquide, solide o gassose, possono essere trasportati alla rinfusa o in colli di varie dimensioni e fattezza (container o fusti); in ogni caso, indipendentemente dalla modalità di trasporto possono essere individuate 5 grandi famiglie di sostanze movimentate via nave. Per ogni modalità di trasporto via mare esistono apposite norme finalizzate a definire le caratteristiche tecniche della nave, la certificazione della nave, l’ammissibilità della merce al trasporto e le condizioni di trasporto.

Principali conseguenze per l’ambiente marino

L’effetto indotto dal rilascio di HNS nell’ambiente marino dipende da diversi fattori: oltre alla natura della sostanza occorre valutare la tipologia di trasporto e di sversamento ovvero la quantità di materiale disperso e i conseguenti livelli di concentrazione nella colonna d’acqua, il tempo di esposizione del biota alla contaminazione, insieme alla sensibilità degli organismi stessi. 

L’azione mitigatrice del mare avviene principalmente per opera della diluizione e dispersione, condizionate principalmente dai flussi di marea, dalle correnti marine e dai moti di diffusione turbolenta; tuttavia, pur se l’effetto della diluizione può ridurre le concentrazioni delle sostanze a livelli inferiori a quelli considerati letali, le concentrazioni sub-letali possono comunque indurre degli impatti nel lungo periodo. Lo stress chimico può ridurre la capacità riproduttiva degli organismi, la loro crescita, alterando anche le normali funzioni come la nutrizione. Alcuni inquinanti, principalmente metalli pesanti e alcune sostanze organiche lipofile, sono bioaccumulabili da parte di organismi marini; tra le specie più sensibili s’individuano gli organismi sessili filtratori come i molluschi, che sono anche ottimi indicatori dello stato di qualità chimica della colonna d’acqua. Qualora le sostanze pericolose e nocive facciano il loro ingresso nei diversi livelli della catena trofica, esse risultano anche biomagnificabili: nel bioaccumulo si osserva una concentrazione della sostanza che transita dall’ambiente esterno ai tessuti degli organismi; la biomagnificazione comporta, invece, un incremento esponenziale delle concentrazioni dell’inquinante, nel passaggio da un livello trofico a quello superiore. Non tutte le sostanze bioaccumulabili sono anche biomagnificabili.

Altre forme di inquinamento marino

Oltre all’inquinamento causato da fattori connessi con il trasporto marittimo, esistono altre forme di contaminazione del mare e di alterazione dei relativi ecosistemi. Una delle principali fonti di inquinamento marino è costituita dai corsi d’acqua, in cui sono riversati inquinanti chimici e batterici provenienti da reflui civili, industriali, agricoli e zootecnici, che causano il cosiddetto inquinamento idrico. Questo tipo di inquinamento riveste una tale rilevanza che, nell’ambito della Convenzione di Barcellona del 1976 per la protezione del Mare Mediterraneo, è incluso un apposito protocollo dedicato alla lotta all’inquinamento “tellurico”, dovuto cioè agli scarichi nei fiumi, emissari, canali (nella foto: guardia costiera, attività di monitoraggio di scarichi) e di altri corsi d’acqua, o provocati da qualsiasi altra fonte o attività situata nel territorio, che comunque provoca ripercussioni negative sull’ambiente marino.

guardia costiera: attività di monitoraggio di scarichi

Gli agenti inquinanti delle acque più comuni sono:

Inquinanti fecali: derivano dai reflui fognari non sottoposti a depurazione. Sono attaccati dai batteri aerobici che, operandone la biodegradazione, consumano l’ossigeno disciolto nell’acqua dando luogo ad anidride carbonica, nitrati, fosfati ed anidride solforosa. Quando l’ossigeno si esaurisce, inizia la fermentazione anaerobica che può generare composti maleodoranti e tossici come metano, ammoniaca, acido solfidrico e fosfina. Qualora l’inquinamento fecale sia particolarmente intensivo, si può avere la presenza nelle acque reflue, ed in alcuni casi anche nelle acque marine in prossimità degli scarichi, di microrganismi patogeni agenti di gravi malattie, come tifo, colera, epatite virale, salmonellosi, spirochetosi. A tale riguardo, è fondamentale la depurazione delle acque fognarie mediante appositi impianti dove i reflui vengono sottoposti a filtrazione, sedimentazione, disoleatura, ossidazione mediante fanghi attivi e, se necessario, anche a disinfezione;

Prodotti chimici: le attività umane producono un'infinità di sostanze chimiche che, qualora siano riversate nell'ambiente, producono effetti indesiderati o nocivi, talvolta immediati (fenomeni acuti), ma molto più spesso frutto di perduranti accumuli poco significativi se presi singolarmente, ma in grado di provocare sul medio e lungo periodo notevoli alterazioni dei corpi idrici recettori e della qualità delle rispettive acque. L'acqua, a riguardo, è uno dei principali veicoli di trasporto, nonché recettore finale, dei numerosissimi inquinanti chimici prodotti dalle attività domestiche o civili (reflui), agro-zootecniche ed industriali; alcune sostanze inquinanti, inoltre, possono provenire dal dilavamento delle strade ad opera delle acque meteoriche. Le sostanze chimiche più frequentemente oggetto degli inquinamenti industriali sono: gli acidi e gli alcali, i composti clorurati, l'ammoniaca, l'idrogeno solforato. Gli acidi e le basi forti possono diminuire la solubilità dell’ossigeno ed alterare temperatura e pH dell'ambiente, provocando la scomparsa di alcune specie viventi oppure lo sviluppo di altre normalmente assenti; alcuni composti clorurati sono cancerogeni; l’ammoniaca è una sostanza corrosiva e produce effetti tossici sui siti di contatto (pelle, occhi, mucose, vie respiratorie); l’idrogeno solforato, classificato ad alte concentrazioni come veleno, a basse dosi può causare disturbi neurologici, respiratori, motori, cardiaci e potrebbe essere collegato ad una maggiore incorrenza di aborti spontanei nelle donne. Alle suddette sostanze si aggiungono elementi inquinanti come oli e detergenti che possono compromettere il passaggio delle radiazioni solari nell'ambiente acquatico e, di conseguenza, interferire sui cicli vitali dei microrganismi vegetali e animali. Anche gli inquinanti non degradabili, cioè i materiali polimerici di sintesi (polietilene, PVC, PET, ecc.), alcuni composti del mercurio, le sostanze chimiche con radicali fenolici a lunga catena laterale, il DDT e i PCB (bifenili policlorurati) che non vengono degradati, o che vengono degradati molto lentamente nell'ambiente, sono fonti di inquinamento chimico.

Sostanze inorganiche tossiche: sono costituite dagli ioni dei metalli pesanti, come ad esempio Antimonio, Arsenico, Cadmio, Cromo, Mercurio, Nichel, Piombo, Vanadio, Zinco, che possono bloccare l'azione catalitica degli enzimi dell'organismo determinandone l’avvelenamento. Le industrie che usano questi metalli nelle loro lavorazioni, prima di scaricare le acque, devono eliminarli con i loro impianti di depurazione. La maggior parte di queste sostanze, una volta giunte nelle acque marine ed ingerite da pesci, crostacei o molluschi, dà luogo al cosiddetto “bioaccumulo”, ossia al deposito nei tessuti degli organismi marini in concentrazione crescente rispetto a quella presente nel mare. Alcuni inquinanti, tra cui composti dei metalli pesanti, possono dare luogo anche al fenomeno della “biomagnificazione”, che consiste nell’accumulo crescente di una sostanza lungo la catena trofica, a condizione che la concentrazione dell’inquinante nell’organismo predatore sia più alta rispetto a quella rilevabile nelle prede. In questo modo gli organismi predatori al vertice delle catene alimentari, e quindi di taglia maggiore (tonni, squali, delfini) sono anche i più “intossicati”.

Sostanze inorganiche nocive: sono costituite dai fosfati e polifosfati presenti nei fertilizzanti, detersivi, composti fosforati ed azotati, in alcuni scarichi industriali e nei reflui fognari non depurati, a causa dell’ossidazione degli escrementi. Queste provocano l'eutrofizzazione, ovvero un enorme sviluppo della flora acquatica che in gran parte muore depositandosi sul fondo decomponendosi e perciò consumando notevoli quantità di ossigeno. Quando nella massa d'acqua si determina un deficit di ossigeno, si iniziano a liberare i prodotti della decomposizione anaerobica con conseguente morte della fauna per asfissia. Il corso d'acqua così si intorbidisce limitando la penetrazione della luce in profondità peggiorando ulteriormente la situazione.

Sostanze organiche non naturali: come ad esempio i diserbanti, gli antiparassitari, gli insetticidi, portano vantaggi all'agricoltura ma possono inquinare sia le acque che il suolo e, conseguentemente, anche il mare. Inoltre ci sono i solventi organici utilizzati dalle industrie (come ad esempio l'acetone, la trielina, il benzene, il toluene, ecc.) che devono essere eliminati prima di scaricare l'acqua nei corsi. Questo tipo di inquinamento marino riguarda un elevato numero di sostanze differenti: sono circa 63.000 i composti chimici impiegati in tutto il mondo e, ogni anno, 1.000 nuove sostanze organiche di sintesi vengono immesse sul mercato. Almeno 4.500 dei composti impiegati sono altamente pericolosi. Alcune di queste sostanze, conosciute come inquinanti organici persistenti [POP], non si decompongono e tendono ad accumularsi nei tessuti degli organismi viventi, alterandone il sistema ormonale, causando tumori, disfunzioni del sistema riproduttivo e alterazioni del sistema immunitario e interferendo con il normale processo di crescita degli esemplari giovani. Alcuni composti organici comunemente utilizzati in grandi quantità, come i tensioattivi dei detergenti, oltre ad aggravare il fenomeno dell’eutrofizzazione, possono penetrare nell’aerosol marino, che si forma per azione meccanica diretta del vento sul pelo dell’acqua, andando a depositarsi sulla flora costiera, ed in particolare sulla macchia mediterranea, causando seri danni.

Idrocarburi, oli liberi ed emulsionanti: le sostanze oleose sono rilasciate nei condotti fognari o nei corsi d’acqua quando non vengono seguite le previste procedure di smaltimento degli oli usati, o a causa di trafilaggi da oleodotti e depositi costieri, ovvero a seguito di incidenti durante le fasi di raffinazione o trasporto con mezzi terrestri. Una volta rilasciati nelle acque superficiali giungono facilmente in mare.

Solidi sospesi: sono sostanze di varia natura che rendono torbida l'acqua ed intercettano la luce solare. Inoltre, una volta depositati sul fondo, impediscono lo sviluppo della vegetazione.

Altre minacce

Altre cause di alterazione dell’ambiente marino possono essere:

  • l’immissione di rifiuti solidi: tutti i materiali non biodegradabili che sono scaricati in mare, (sacchetti di plastica, polistirolo, spazzatura di vario genere ma anche reti e lenze abbandonate), rimangono a lungo integri e sono successivamente trasportati dalle correnti lungo le coste o in mare aperto provocando danni agli organismi marini;
  • l’immissione di minerali: l’eccessivo scarico a mare di sabbie e ghiaie per il ripascimento delle spiagge può determinare un aumento della torbidità delle acque a danno di tutti gli organismi che hanno bisogno di luce per vivere, prima fra tutte la Posidonia oceanica;
  • lo sfruttamento eccessivo e non controllato delle risorse biologiche: la tecnica della pesca a strascico, se eseguita illegalmente sotto costa, determina gravi danni agli organismi bentonici e la distruzione degli stadi giovanili delle specie ittiche. Le reti derivanti, che possono essere lunghe anche diversi chilometri, catturano indistintamente esemplari di specie protette ed a rischio di estinzione, come le tartarughe ed i mammiferi marini;
  • il prelievo di minerali (dragaggi) o la modifica dell’ambiente geofisico subacqueo per la realizzazione di strutture artificiali (moli, dighe, ecc) possono danneggiare l’equilibrio ambientale dei litorali sabbiosi, in seguito all’alterazione delle correnti con conseguente erosione;
  • l’introduzione di specie animali o vegetali alloctone a causa dell’acquacoltura, delle acque di zavorra rilasciate in mare da navi da trasporto o a causa dell’apertura di barriere naturali, come il taglio di istmi;
  • l’immissione di acqua a temperatura superiore a quella del substrato: le acque calde dei sistemi di raffreddamento degli impianti industriali e delle centrali termoelettriche possono danneggiare gli ecosistemi marini costieri, producendo il cosiddetto inquinamento termico (mosaici con mappa in temperatura del litorale tarantino)

mosaici con mappa in temperatura del litorale tarantino

mosaici con mappa in temperatura del litorale tarantino

  • le fonti sonore: il rumore e le vibrazioni prodotte in mare dalle attività umane possono interferire in vario modo con la vita animale. Possono limitare la capacità degli animali di comunicare, di chiamarsi e di riconoscersi, ad esempio nel periodo riproduttivo, ma anche di segnalare situazioni di pericolo o di individuare ostacoli tramite il biosonar. Il rumore può quindi produrre alterazioni del comportamento, diminuire la capacità riproduttiva o indurre l’allontanamento da determinate aree, con gravi implicazioni ecologiche. Approfondire questi aspetti ha una grande importanza nella formulazione di nuove norme per la navigazione e per le attività potenzialmente dannose soprattutto nelle aree tutelate quali parchi e riserve marine. Alcuni spiaggiamenti di cetacei vengono imputati ai sonar in uso nelle imbarcazioni, in particolare a quelli funzionanti a bassa frequenza, i cui segnali possono interferire con i meccanismi di orientamento di questi mammiferi marini.