Uccelli

Dalla tundra ai tropici, l'affascinante varietà degli uccelli italiani

Percorrendo la strada che fra pinete e pascoli acquitrinosi porta da Alberese al mare nel parco naturale della Maremma, in Toscana, non sarà difficile notare gruppi di uccelli bianchi sul dorso delle vacche maremmane. Sono uccelli che alcuni anni fa non esistevano in Italia; chi voleva vedere questi piccoli aironi bianchi, gli aironi guardabuoi (Ardeola ibis), doveva andare in Francia o in Spagna se non in Africa. Oggi la loro avanzata, iniziata una ventina di anni fa con  timide apparizioni in Sardegna, la prima regione italiana conquistata, sembra inarrestabile. Questi piccoli aironi che amano vivere in gruppo e fare il nido sui salici e fra le canne hanno un debole per il bestiame che per loro significa pascoli fertilizzati dal letame e quindi ricchi di insetti e una comoda cavalcatura per farsi pigramente trasportare senza fatica. Alla prima colonia segnalata negli stagni di Molentargius, a Cagliari, si sono rapidamente aggiunti nuovi insediamenti nelle Valli di Comacchio, nel lago di Chiusi, nell’oasi di Orbetello e il fenomeno non sembra affatto rallentare.

Non è questa comunque la sola novità nel panorama avifaunistico italiano che a conti fatti negli ultimi anni registra un bilancio assolutamente attivo: il numero  delle nuove specie supera di gran lunga il numero di quelle che si sono estinte. La cicogna bianca (Ciconia ciconia) ha colonizzato la Val Padana e nidifica occasionalmente nel resto della penisola, da qualche anno abbiamo il piacere di osservare i grandi nidi di rami secchi costruiti dalle cicogne nere (Ciconia nigra) nelle forre boscose delle Alpi, della maremma laziale, del Mezzogiorno.

Nelle zone umide non passa certo inosservata la presenza dei fenicotteri (Phoenicopterus ruber - V. Loi-S.Pisano/Panda Photo) protagonisti di uno spettacolare ritorno negli stagni di Cagliari dove hanno nidificato di nuovo dopo secoli di assenza e da cui sono partiti alla conquista del “continente italiano” stabilendo teste di ponte nella laguna di Orbetello, nelle saline di Margherita di Savoia e per ultimo nelle valli di Comacchio.

fenicotteri (Phoenicopterus ruber, V. Loi-S.Pisano/Panda Photo)

Sempre nelle valli di Comacchio accanto ai gabbiani comuni (Larus ridibundus - F.Cianchi/Panda Photo) nidificano i gabbiani rosei (Larus genei) dalla silhouette snella ed elegante e accanto a loro, con un cappuccio nero, i gabbiani corallini (Larus melanocephalus).

gabbiano comune (Larus ridibundus - F.Cianchi/Panda Photo)

Più in là le spatole (Platalea leucorodia - P.Barbanera/Panda Photo). Queste specie non appartengono al passato ornitologico dell’Italia ma sono comparse in tempi recenti. Si tratta in fondo di animali nomadi, un po’ come tutti gli uccelli di palude, in grado di profittare della efficiente rete di zone umide protette ormai operativa nel nostro paese.

Spatola (Platalea leucorodia - P.Barbanera/Panda Photo)

L’avifauna italiana si è andata formando nel corso di migliaia di anni per continui processi di colonizzazione analoghi a quello che interessa oggi molti trampolieri e gabbiani che hanno portato a un affascinante puzzle ornitologico e biogeografico che fa dell’Italia una delle nazioni ornitologicamente più ricche d’Europa.

Negli ultimi anni, con l’aumento delle comunicazioni fra le parti del globo, la nostra fauna si è andata arricchendo di specie esotiche introdotte volutamente o accidentalmente dall’uomo: il pappagallo monaco (Myopsittachus monachus) e quello alessandrino (Psittacula krameri) sono alcune delle forme che hanno colonizzato con successo il territorio italiano e il cui impatto sulle biocenosi indigene non è ancora stato valutato.

L’Italia e le isole sono ampiamente interessate dal fenomeno della migrazione degli uccelli, distinti in “passo“ (migrazione autunnale o post riproduttiva verso le zone di svernamento) e “ripasso“ (migrazione primaverile o preriproduttiva verso le zone di nidificazione). Nel passato il fenomeno era forse più evidente tanto che alcune forme di caccia, come quella ai colombacci o palombe, veniva tradizionalmente praticata in tutti i valichi di montagna da squadre di cacciatori che si tramandavano il mestiere di padre in figlio. I primi movimenti dei migratori si verificano alla fine dell’estate, quando i boschi e i prati di montagna cominciano a registrare l’esodo delle silvie e delle upupe che già dopo ferragosto insieme alle tortore riparano in Africa. Molte altre specie sono in trasferimento e altre devono ancora stendere le ali per il grande volo. I giorni di punta dell’esodo sono quelli che vanno dalla metà di settembre alla fine di ottobre: le rondini dopo essersi raccolte sui fili della luce partono in ordine sparso verso sud e un mattino nella siepe si sente il tintinnio di un pettirosso che il giorno prima non c’era.

Rondini, pettirossi, tordi e allodole sono solo una piccola parte della moltitudine di uccelli che affolla in autunno la penisola italiana, ponte proteso fra l'Europa e l'Africa, percorso da animali che il freddo caccia dal nord e il miraggio di un inverno ai Tropici attira a sud. Decine di milioni di volatili, delle specie più varie, varcano i confini del nostro paese in corrispondenza dei valichi delle Alpi e scendono verso la valle Padana, l'Appennino, la costa tirrenica e quella adriatica, la Sicilia e la Sardegna. Molti di questi migratori tirano diritto per trasferirsi in Africa, dove fa caldo e lo spazio non manca, ma altri si fermano dove le condizioni sono propizie al loro svernamento.

Stormi di fringuelli, lucherini, verdoni e frosoni, variopinti uccelli che nulla hanno da invidiare in bellezza del piumaggio agli ospiti delle voliere, sciamano tra i faggi e le querce e, incalzati dalle bufere di neve, lasciano le montagne per scendere a valle. Dietro di loro lunghe file di colombacci prendono possesso dei boschi di querce dove maturano le ghiande, il loro cibo preferito. C'è chi profitta di questa abbondanza di pennuti per un fast food garantito, come fanno  sparvieri, smerigli e pellegrini (P.Griva-M.Santona/Panda Photo) che sferrano i loro attacchi mortali ai migratori stanchi.

falco pellegrino (P.Griva-M.Santona/Panda Photo)

Le gru in novembre e in dicembre passano alte sopra i cieli italiani, dirette nell'Africa del Nord dove trascorreranno la stagione invernale. Hanno molti chilometri da fare ma ne hanno coperti già tantissimi perchè vengono dalle paludi e dai boschi acquitrinosi della Svezia, della Finlandia, dell'Europa nord orientale dove si sono riprodotte. E' comunque più facile sentirle che vederle: hanno un richiamo rauco, strombazzante, che ricorda un clacson arrugginito. Per gli antichi, come ricorda Esiodo in una delicata lirica, erano annunciatrici dell'autunno e dell'epoca della semina del grano.

L'arrivo dei volatili è particolarmente evidente nelle zone umide, termine con il quale si suole indicare le lagune, le paludi, i laghi e gli stagni che, a dispetto  di tante bonifiche, sono ancora presenti nel nostro paese. Qui in un solo giorno possono piombare mille anatre selvatiche ed altrettante folaghe (R.Siniscalchi/Panda Photo), in un battere d'occhio i canneti si popolano delle sagome grigie e ieratiche degli aironi cenerini e i cormorani (F. Ballanti/Panda Photo) scendono per contendere ai pescatori quanto le lagune mettono generosamente a disposizione. Uno degli spettacoli  senz'altro più belli è rappresentato dal volo dei fenicotteri, gli eleganti trampolieri rosa, alti quanti un uomo, dalle ali carminio: negli stagni della Sardegna se ne possono vedere in totale anche quindicimila, una moltitudine rosea che ricorda spettacoli esotici di laghi africani.

Folaga (R.Siniscalchi/Panda Photo)

Cormorano (F. Ballanti/Panda Photo) 

L’avifauna italiana non è equamente distribuita nel territorio: esistono zone povere e altre ricche di specie e in linea di massima si assiste a una progressiva diminuzione del numero delle specie spostandosi dalle regioni settentrionali a quelle meridionali. Il processo di impoverimento raggiunge il suo apice all’estremità della Calabria (l’Aspromonte) e della Puglia (il Salento), dove l’effetto “isola” è particolarmente rilevante e dove il numero di specie presenti è considerevolmente più basso rispetto al resto della penisola, come è dimostrato ad esempio dalla comunità ornitica degli ecosistemi steppici che conta 19 specie nidificanti in una situazione “continentale“ (Lazio), 18 specie nidificanti nella parte prossimale della penisola pugliese (tavoliere di Foggia) e solo 5  specie nidificanti nel Salento.

Esistono comunque alcune situazioni particolari che determinano l’esistenza di aree che per quanto piccole sono estremamente ricche di specie. Molte fra queste sono quelle che nel corso dei millenni hanno conservato una certa stabilità ambientale, ammortizzando gli effetti delle variazioni climatiche e degli eventi geologici che altrove hanno determinato subitanee crisi della biodiversità. Tali biorifugi corrispondono di solito a situazioni vegetazionali specifiche; ad esempio negli arbusteti di pino mugo e di altre essenze che crescono sulle vette del Gran Sasso, della Maiella e dei monti della Marsica trovano rifugio crocieri (Loxia curvirostra), passere scopaiole (Prunella modularis) e merli dal collare (Turdus torquatus) e nella tundra d’alta quota della Maiella il piviere tortolino (Eudromias morinellus - E.Coppola/Panda Photo).

Piviere tortolino (Eudromias morinellus - E.Coppola/Panda Photo).

Ai biorifugi bisogna aggiungere aree favorite dalla loro posizione geografica al confine fra faune di diversa origine: è tale il caso delle estreme propaggini occidentali e orientali dell’arco alpino, rispettivamente le Alpi marittime e il Carso friulano dove si incontrano le popolazioni animali italiane con quelle dell’Europa occidentale e orientale.

Altrettanto importanti sono le piccole isole e gli ambienti costieri del Meridione con le loro scogliere che pur senza presentare le spettacolari concentrazioni di uccelli marini proprie del Nord Europa, danno spesso un'impressione di abbondanza e di affollamento non troppo diversa da quella che si può ricevere nei santuari ornitologici della Scozia, della Norvegia o dell'Islanda. Il cormorano (Phalacrocorax carbo), il marangone dal ciuffo (Phalacrocorax aristotelis - foto M. Melodia/Panda Photo), l'uccello delle tempeste (Hydrobates pelagicus)la berta maggiore (Calonectris diomedea - M. Melodia/Panda Photo) la berta minore (Puffinus yelkouan)il gabbiano corso (Larus audouinii - V.Loi-S.Pisano/Panda Photo), il gabbiano reale (Larus cachinnans) sono di casa dove precipitano in mare le balze grigie e bianche del Gennargentu, le pietraie nere e purpuree di Linosa e di Pantelleria, i lastroni calcarei di Lampedusa, i massi di granito rosa delle isole toscane, le forre coperte di macchia di Ponza e delle vicine ponziane.

Marangone dal ciuffo (Phalacrocorax aristotelis - foto M. Melodia/Panda Photo)  

berta maggiore (Calonectris diomedea - M. Melodia/Panda Photo) 

Gabbiano corso (Larus audouinii - V.Loi-S.Pisano/Panda Photo)

 

Tutela dell'avifauna

La legge 11 febbraio 1992 n. 157 riconosce e tutela come bene indisponibile dello Stato” tutte le popolazioni di uccelli selvatici. L’Unione Europea, da anni in prima linea nella predisposizione di azioni concrete a tutela dell’avifauna e della biodiversità, ha stilato un elenco tassativo di specie, che necessitano di particolare attenzione perché in declino o minacciate di estinzione, contenuto nella Direttiva Uccelli 79/409/CEE abrogata e sostituita integralmente dalla versione codificata della Direttiva 2009/147/CE. Nell’Allegato I di tale direttiva, sono citate 193 specie soggette a “misure speciali di conservazione”, per le quali la caccia è sempre vietata al fine di garantirne la sopravvivenza e la riproduzione nelle loro aree di distribuzione. Nell’Allegato II vengono invece indicate quelle specie la cui caccia può essere autorizzata dai singoli Stati membri, senza però derogare al duplice principio del divieto assoluto di caccia durante le fasi riproduttive e di migrazione di ritorno (in primavera), nonché del divieto di utilizzo di metodi di cattura “non selettivi”.

Molte delle specie presenti nel nostro paese, e tra queste anche quelle nidificanti in Italia non incluse nell’Allegato I della Direttiva, hanno sofferto le grandi modificazioni intervenute negli ultimi decenni nell’ambiente. Tutte quindi meritano attenzione. La conoscenza approfondita delle singole specie e il loro monitoraggio (un ricercatore estrae un uccello da una rete utilizzata per lo studio dell'avifauna, foto P. Gherardi) rappresenta già di per sé un’azione di conservazione essenziale e propedeutica a qualsiasi forma di intervento diretto per la salvaguardia o il ripristino degli ecosistemi.

Un ricercatore estrae un uccello da una rete utilizzata per lo studio dell'avifauna (foto P. Gherardi)

Secondo quanto stabilito dalla Direttiva Habitat, lo stato di conservazione è considerato soddisfacente se i dati relativi alla popolazione di una specie mostrano una buona probabilità di persistenza a lungo termine, se la sua abbondanza e distribuzione risultano stabili o in incremento e infine se gli stessi habitat utilizzati dalla specie sono considerati sufficienti per garantirne la persistenza al lungo. La Direzione Generale per la Protezione della Natura e del Mare del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare ha affidato alla Lega Italiana Protezione Uccelli (LIPU), in collaborazione con ISPRA, l'incarico di realizzare una valutazione dello stato di conservazione delle specie elencate nella Direttiva Uccelli.

Nell’ambito del progetto, è stata messa a punto una metodologia per la determinazione del Valore di Riferimento Favorevole (FRV) per ciascuna specie e ciascun habitat, al fine di valutarne lo stato di conservazione. Per tutte le specie nidificanti sufficientemente conosciute è stato redatto un rapporto monografico, con specifiche sia a scala nazionale sia di regione biogeografica.

Stato di conservazione dell'avifauna

Alcune specie si sono estinte in Italia. Fra queste si possono citare l’ibis ciuffetto (Gerontícus eremita), un elegante trampoliere dal piumaggio nero a riflessi verdi e purpurei e dal lungo cíuffo di penne sul capo nudo, scom­parso dalle Alpi dove si riproduceva sulle pareti rocciose da quando la depreda­zione dei nidiacei, considerati una leccornia nei banchetti principeschí, è diventata nel XVI secolo sistematica. La scomparsa dell'avvoltoio barbuto (Gypáetus barbatus) (M. Branchi/Panda Photo) dalla catena alpina è narrata dalle foto di questi grandi uccelli morti e stesi fra le braccia degli ucci­sori o impagliati nei Musei di Storia Naturale: l'ultimo esemplare fu ucciso nel 1913, in Val d'Aosta.

Avvoltoio barbuto (Gypáetus barbatus, M. Branchi/Panda Photo)

Oggi la specie è tornata sulle Alpi ma solo grazie a un lungo progetto di reintroduzione. L’estinzione dell’avvoltoio monaco (Aegypius monachus), che nidificava nei boschi della Sardegna fino al 1950 circa, è anch’essa imputabile alla persecuzione dell’uomo.

Fu proprio negli anni Cinquanta e Sessanta che l'Italia ha perso alcune specie come il gobbo rugginoso (Oxyura leucocephala) e l'aquila di mare (Haliaetus albicilla). La Sicilia fu privata della quaglia tridattila (Turnix sylvatica) e del pollo sultano (Porphyrio porphyrio) (V.Loi-S.Pisano/Panda Photo) che oggi vi sta ritornando grazie a un progetto di reintroduzione.

Pollo sultano (Porphyrio porphyrio, V.Loi-S.Pisano/Panda Photo) 

A fronte di un numero in fondo limitato di specie estinte, 11 in totale, c’è un alto numero di specie minacciate e nella Lista Rossa sono state inserite 164 delle 250 specie che si riproducono regolarmente o irregolarmente sul nostro territorio, oltre a 18 forme sottospecifiche e popolazioni isolate.

Naturalmente anche per gli uccelli l'istituzione di aree protette, volte a tutelare i siti di riproduzione e svernamento e le aree di migrazione e sosta, risulta essere un'azione fondamentale per la conservazione di popolazioni di uccelli di interesse europeo, come quella della gallina prataiola (E. Coppola/Panda Photo) in Sardegna, del falco della regina (Falco eleonorae - M. Sanna/Panda Photo), del fenicottero (A.Fratus-M.Santona/Panda Photo), del grillaio (Falco naumannii) e il lanario (Falco biarmicus) nelle Murge pugliesi e lucane.

falco della regina (Falco eleonorae, M. Sanna/Panda Photo)

Il futuro dell’avifauna del vecchio continente dipende in misura sostanziale anche da quanto l’Italia saprà fare nei prossimi anni per conservare non solo gli ambienti naturali e integri, come creste e vette montane, ma anche i territori agricoli e trasformati dalla millenaria opera dell’uomo che ha fatto spazio a molte specie che altrimenti non avrebbero mai potuto abitate nel nostro paese.